Poesia e carcere

“Ma l’altra parte di te 
deve essere coinvolta
nel vortice del mondo”: 
la poesia ai due lati delle sbarre.

Esiste una poesia della morte e della guerra; una poesia della devianza e dell’ospedale psichiatrico; una poesia del disumano e del lager; ed esiste persino una poesia della pena eterna e dell’Inferno, come se non bastassero i tanti inferni quotidiani appena elencati.
La poesia, infatti, trova sempre un senso, e aiuta a non perdere se stessi tra le pieghe tragiche dell’esistenza.

Una forma di resistenza, insomma, come quella che suggerisce il nome stesso del progetto di scrittura poetica portato avanti in Argentina in alcuni istituti di detenzione femminile dall’organizzazione Yo no fui: una resistenza a quella sensazione, comune a chiunque entri in carcere, di venir privati del proprio essere, di “essere stati” (fui) ma di non essere, né di poter essere più, come se il tempo della vita si fermasse.
Yo no fui, allora: perché io posso ancora essere, e sarò ancora.

Attraverso la poesia, le donne che aderiscono al progetto si riappropriano della propria voce libera, così come delle proprie emozioni – che si temeva sospese o non più consentite – e, quindi, della propria identità.Attraverso i versi, le donne possono dire la violenza e la rabbia che hanno vissuto, l’impotenza che vivono nella loro condizione attuale, ma anche la speranza e l’amore che non smettono di vivere e che vogliono continuare a vivere. Ne prendono coscienza e si rafforzano non come vittime, ma come protagoniste nuove di una nuova vita in cui occorre ridefinirsi.

Iniziato nel 2002 nel carcere di Ezeiza dall’avvocata e poeta Maria Medrano, il progetto si distingue da molti altri progetti analoghi perché opera tanto all’interno come all’esterno delle mura carcerarie: sostiene le donne dentro, ma continua ad accompagnarle anche fuori, nel loro reinserimento in un mondo e in una vita da cui non dovrebbero mai sentirsi estromesse. Perché non smettono mai di essere figlie, madri, amanti e – in una sola parola – donne, nemmeno quando sono private della libertà di esserlo.

Attualmente i laboratori sono attivi in tre carceri diverse: l’Unità 31 e il Complesso IV di Ezeiza, l’Unità 13 di Santa Rosa (La Pampa), e la 47 di José León Suárez.
Insomma, come scriveva Hikmet nel maggio del 1949 dal carcere di Bursa in Turchia, “[…] ma l’altra parte di te / deve essere coinvolta / nel vortice del mondo”.

Commenti

  1. Molto interessante!
    Di iniziative legate alla poesia realizzate in carcere, ma a carattere un po' più istituzionale, ce ne sono anche in Francia:
    http://www.justice.gouv.fr/prison-et-reinsertion-10036/faites-des-mots-en-prison-un-2e-ouvrage-qui-fait-collection-32324.html
    C'è poi il concorso nazionale "Dix moi dis mots" che da anni coinvolge studenti di tutti i livelli ed ha anche una sezione dedicata a studenti detenuti. La brevità del format ne fa uno strumento molto coinvolgente e ludico, nonché utile per rafforzare le competenze linguistiche.
    http://www.dismoidixmots.culture.fr/concours-pedagogiques/concours-des-dix-mots-scolaires
    Qui la testimonianza di un insegnante in prigione la cui classe ha vinto l'edizione del 2016:
    http://www.upr-paca-corse.ac-aix-marseille.fr/spip/spip.php?article419

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