La valigia degli attrezzi I di Piero Schiavo
La valigia degli attrezzi I: le storie
Il sé, scrive Jerome Bruner, è un prodotto del
raccontare.
Il raccontare e il raccontarsi rappresentano in ogni
contesto una modalità di trasmissione e di comunicazione accessibile a
tutti e rivelatrice dei molteplici aspetti della comune condizione umana, nei
quali è possibile riflettersi e sui quali si è chiamati a riflettere, al fine
di una migliore conoscenza tanto degli altri quanto di sé, e di una più
completa e solida costruzione della propria identità.
Narrandosi, ogni individuo reinterpreta il proprio
vissuto, attribuendo un nuovo ordine, un nuovo senso e nuovi significati alle
proprie esperienze passate e presenti, e riformulando di conseguenza i piani
per il futuro: si è infatti indotti a riflettere sulla propria storia, a
“ordinarla” e a “riordinarsi”, a trovarvi un significato che prima ci era
oscuro e a recuperare una nuova stima di noi stessi, in virtù della quale
poterci aprire ad una progettualità futura. Un futuro che nel caso del progetto
STEPs significa uscita dal carcere e reinserimento nella società civile,
facilitato attraverso un processo di rieducazione, di presa di coscienza e di
rimodellamento di sé e delle proprie abilità.
Il progetto STEPs si occupa, infatti, di pratiche
rieducative in contesti carcerari, anche – ma non solo – attraverso l’ascolto
delle storie dei detenuti al fine di ricostruirne e ri-costruirne l’identità in
divenire. Una memoria, insomma, che guarda in avanti.
Allo stesso modo, avendo il
progetto STEPs da poco superato il primo dei suoi tre anni di attività, per
poter programmare il lavoro degli anni successivi è stato necessario per prima
cosa fermarsi ad analizzare ciò che ognuno dei membri del gruppo ha depositato
nella comune valigia degli attrezzi; così come riflettere su quanto si è
appreso e su quanto, invece, resta ancora da apprendere e da approntare. Ci
siamo così scoperti arricchiti di storie inattese, di progetti rieducativi
consolidati o sperimentali, di metodologie innovative, ma anche, per quanto ci
riguarda più direttamente, di una
curiosità rinnovata e di suggestioni euristiche che hanno aperto la ricerca a
prospettive prima non considerate.
Per quanti di noi si sono
dedicati alla raccolta delle storie dei detenuti, il metodo si è andato
costruendo nel corso stesso della sua applicazione. L’idea da cui si è partiti è
tanto semplice quanto variegata: adottare, cioè, linguaggi non soltanto
verbali, soprattutto per aiutare gli stranieri con difficoltà linguistiche che
potrebbero compromettere l’efficacia della loro narrazione. Disegno, dunque, e
poi danza, realizzazione di oggetti, canto… strumenti, tutti, certamente di
espressione, ma anche di condivisione e di cooperazione. Perché se è vero che
alcune storie necessitano della confidenza di un incontro più intimo e
ristretto per trovare la forza di essere narrate, altre affiorano dalla
collaborazione del gruppo, dalla messa in comune di ciò che si credeva
esclusivo e che si scopre, invece, essere simile e condiviso, magari partendo
da un oggetto a tutti familiare e così tanto quotidiano che chiunque può associare
a un ricordo, ma su cui nessuno aveva prima di allora riflettuto.
Così è nata ad esempio
l’attività sulla finestra, una cornice (l’unica spesso consentita in un carcere)
da cui guardare il mondo, la quale, pur inevitabilmente delimitandolo e
comprimendolo, offre tuttavia allo stesso tempo la possibilità di creare un
margine di indeterminazione dentro cui si dispiega l’immaginazione creatrice
(e, forse, consolatrice); una cornice, anche, che di quel mondo esalta i
dettagli altrimenti inosservati, proprio perché lo delimita e lo comprime; che
consente, infine, il privilegio di chiudere in ogni momento le imposte per
ripiegarsi in una dimensione d’intimità sempre più rara in una realtà
continuamente esposta, e di abbandonarsi quindi al ricordo, alla meditazione,
alla rielaborazione. Finestre prima osservate,
poi ricordate, infine riprodotte in un laboratorio di bricolage che ha facilitato tanto la
chiacchiera spensierata, quanto la riflessione sulla dialettica fuori/dentro, o
l’interrogazione sull’identicità o meno dell’orizzonte per chi lo contempla
dalla finestra sbarrata di un carcere e per chi, invece, può osservarlo senza
alcuna sbarra né cornice: linea o griglia; limite o inizio; terra o aria (https://stepscpia1rm.blogspot.com/2019/03/metodologia-per-la-raccolta-delle_19.html).
A volte è stata necessaria
una “provocazione” per innescare il meccanismo di una narrazione divisa tra
ricordi, fantasie e speranze: così, un brainstorming
sul tema del viaggio, proposto coraggiosamente tra le mura di un’aula
carceraria, ha permesso a ognuno di ripensare al proprio passato e di
desiderare un nuovo e diverso futuro. Ne è nata un’antologia di testi di vario
tipo (diario, lettera, guida turistica, racconto…), ognuno con le sue regole di
stesura e ognuno, ovviamente, con un vissuto diverso – tragico o ludico – da
voler per sempre ricordare o da non poter mai più dimenticare (https://stepscpia1rm.blogspot.com/2019/07/viaggi-reclusi.html).
Altre volte, invece, è
stato il caso a dare inizio alla conversazione e al racconto di sé. È nato così
il libro dei colori, partendo proprio dall’osservazione occasionale del cielo e
dal ricordo dei tanti cieli osservati dai luoghi più diversi e più lontani. In
questa circostanza la narrazione si è sviluppata nel corso di un’attività
didattica multidisciplinare, in cui la domanda sul cielo e sui suoi colori è
stata declinata in un linguaggio non solo etimologico ed emotivo (per scoprire
come ai tanti modi di dire l’azzurro corrispondano associazioni sorprendenti e
inaspettate), ma anche scientifico e sperimentale, aprendo, ad esempio,
all’esperienza del disco cromatico e a quella altrettanto affascinante e
suggestiva delle ombre (https://stepscpia1rm.blogspot.com/2019/09/1laboratori-lo-storytelling-nei.html).
Questi sono solo alcuni
esempi di come il progetto STEPs, nella parte che riguarda la raccolta delle
storie, stia sostenendo la riflessione sui metodi e sugli strumenti dei quali
l’insegnante dispone; e di come allo stesso tempo stia offrendo nuovi spunti e
nuovi impulsi alla ricerca di didattiche efficaci e riproponibili in contesti
diversi, anche extra carcerari.
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